Se il lavoro su te stesso non ti conduce verso uno stato di gioia, di pienezza, di indipendenza interiore, di capacità concreta di agire, di libertà dalla sofferenza e di piacere nello stare bene con te stesso, anche in solitudine, allora forse non stavi davvero lavorando su di te: stavi soltanto immaginando di farlo.
Non basta “ascoltarsi” o passare le giornate a rimuginare e condividere pensieri per poter dire di stare facendo un vero percorso interiore. L’osservazione di sé richiede un alto grado di attenzione cosciente, e soprattutto la capacità di sapere cosa osservare, quando farlo e in che modo, così da permettere una reale trasformazione.
Molte persone mi raccontano di lavorare su se stesse, ma poi al primo problema crollano, dicendo: “Credevo di aver risolto…”, “Credevo di aver capito…”, “Credevo che…”. E subito ricadono nel vecchio schema di dare la colpa agli altri delle proprie sofferenze.
Perché? Perché, in realtà, non hanno mai lavorato seriamente, con un metodo, una conoscenza oggettiva, un ordine preciso e per il giusto tempo. Di conseguenza, non sono mai davvero cambiate.
E allora, cosa dire di tutti quegli yogi, dei monaci tibetani, dei veri Sufi o degli studenti autentici della Quarta Via che dedicano ore e ore, ogni giorno, a esercizi di trasformazione interiore? Loro praticano osservazione, respirazione, visualizzazione e meditazione con disciplina e costanza.
Noi, invece, spesso ci limitiamo a rimuginare sulla nostra sofferenza per mezz’ora e poi a piangerci addosso per il resto della giornata. Stiamo davvero lavorando sulla nostra crescita o stiamo soltanto improvvisando?
Qui non parliamo di semplici riflessioni o condivisioni nate per consolare l’ego ferito da una delusione sentimentale. Parliamo di una vera e propria scienza dell’anima.
“Ascoltarsi”, sì… ma dipende da quale parte di te stai ascoltando. Spesso il nostro ascolto è condizionato dalle ferite, dalla sofferenza, dal bisogno di commiserarci davanti agli altri o dal desiderio di piacere e compiacere.
Finché non ci saremo stabiliti nel Testimone, nei Centri Superiori e nel ricordo di sé, ogni ascolto e osservazione resterà inevitabilmente viziato: dall’ego ferito, dall’immaginazione, dalla proiezione, dalla frammentazione, dalla frustrazione e dalle menzogne che raccontiamo a noi stessi. Così resteremo lontani dalla libertà e dalla felicità autentica, quella che non dipende da come ci trattano gli altri né da come funziona il mondo esterno.
Prova allora a osservare consapevolmente tutte le bugie che ti racconti, come ti giustifichi per cadere sempre in piedi, come ti svendi in cambio di un po’ di attenzione.
Osserva come rimandi l’azione concreta, come ti perdi nella frammentazione e nelle trame inesistenti create dall’immaginazione.
Nota l’egocentrismo, l’avidità, il senso di possesso, la gelosia, l’invidia, e la tendenza a vivere attraverso la vita degli altri, restando “a rimorchio”.
Chiediti: quanto tempo passo a osservare le vite altrui invece di occuparmi della mia?
Ricorda: lavorare su di sé richiede il coraggio e la pazienza di osservarsi, ma non significa giudicarsi o sentirsi in colpa per ciò che emerge. Farlo significherebbe cadere nuovamente negli stessi meccanismi dai quali stiamo cercando di liberarci.
Gli esercizi e gli spunti di riflessione che condividiamo in questo spazio hanno proprio lo scopo di preparare il terreno per un autentico lavoro interiore, fondato sulla verità e sulla capacità di trascendere i propri meccanismi di difesa. Solo così diventerà possibile aprirsi a quello spazio sconfinato di consapevolezza e amorevolezza che dimora nel cuore più profondo del nostro Essere.